Introduzione
di Asghar Ebrahimi
Che differenza c’è tra la poesia e la
realtà?
Tra la natura e la sua descrizione in forma
poetica?
Nessuna: la poesia, così come la natura è
parte della realtà, nell’accezione più
ampia del termine.
L’unico elemento discriminante, che ci dà
la possibilità di dare un senso alla
lettura poetica è il poeta stesso. Ma il
poeta è un essere umano, quindi un elemento
naturale, così come sono derivati dalla
natura, in qualche modo, l’inchiostro con
cui scrive e la stoffa sui cui dorme,
situata dietro alla finestra di legno da cui
osserva un giardino.
Che cosa distingue Oretta da chi legge i
suoi versi? Probabilmente una serie di
caratteristiche che variano da persona a
persona: fisiche e psicologiche,
condizionamenti ambientali, l’inclinazione
spirituale o la levatura morale. Allora
perché Oretta vede quello che noi non
vediamo? Che cosa distingue ciò che
osserviamo noi da ciò che osserva lei?
Forse noi viviamo e vediamo la realtà,
mentre il poeta, che ha la possibilità di
staccarsi da essa, vede la verità.
Dietro una finestra, quella di un manicomio,
Oretta riesce a scorgere l’eterno
immutabile che si cela dietro ad una
continua trasformazione, osserva gli alberi
che restano uguali all’interno di un
giardino soggetto a cambiamenti climatici.
Di questo continuo mutare i versi ne fanno
un’unica realtà inscindibile: poco conta
la suddivisione in giorno e notte, nelle
quattro stagioni che il ciclo della terra
intorno al sole impone a noi esseri viventi
di questo pianeta.
Lo sguardo lungimirante del poeta sa andare
al di là delle frammentazioni, così come
le diverse specie di viventi che popolano il
giardino verso cui Oretta guarda, si
mescolano fra di loro, nella fermezza delle
parole che su carta le rappresentano. Anche
il ciclo delle stagioni si immobilizza.
L’autunno porta in sé il germe della
stagione che lo seguirà e lo assorbirà
completamente, ma anche sotto la neve
resisteranno quelle piante che sono verdi
fin dall’estate precedente: si
rafforzeranno in primavera, per poi
esplodere in tutto il loro vigore durante la
bella stagione. Esaltando questo movimento,
il poeta inevitabilmente lo affievolisce,
fino ad annullarlo definitivamente:
accelerando il moto della terra intorno al
sole, riesce a coglierne la staticità, e
quindi l’eternità.
All’interno di questi endecasillabi si
trovano parole ferme che, accostate le une
alle altre, preludono a movimenti
involontari che concorrono a dare un ritmo
vorticoso alla scrittura, una cadenza che si
coglie scrutando dietro alle parole,
saltando dall’una all’altra. È così
che gli elementi della natura, svariati
nella poesia di Oretta, hanno modo di
esistere solo se posti in relazione agli
altri; si diversificano nel loro senso ed
esplodono, per poi unirsi unipaticamente
nella loro forma. Gli aggettivi, quelli che
descrivono i colori, anziché fungere da
supporto ai nomi, hanno modo di essere alla
stregua dei sostantivi, così come gli
elementi vegetali alla stregua di quelli
animali. In questo valzer che si chiude ad
ogni giro, c’è un posto paritario anche
per l’uomo, per il “tu” ed “io”,
come per i nostri artifizi e invenzioni.
Solo il poeta ne è fuori, e così si
avvicina al lettore, mentre i fiori, gli
insetti, i colori, l’aeroplano,
l’automobile e il campanile, nella loro
diversità semantica ed espressiva, si
uniscono e compattano in un unico fiume
eracliteo. In questo grande uno si compie,
al di là del tempo, la guerra del tempo
stesso, del sole con la neve, delle viole
con le api, dei guizzi di luce con il buio
che li assorbe. Agli occhi del poeta alcuni
alberi resistono al freddo, in virtù del
sacrificio delle foglie cadute a terra. Essi
si rigenerano in continuazione, così come
il fuscello riesce ad esporsi all’unico
raggio di sole, l’amore inghiottisce la
malattia e la speranza torna per vincere
trionfalmente sul dolore. |